Sudafrica e Spagna Mondiali: buona la Prima

È stato il Mondiale delle prime volte. Per la prima volta la più prestigiosa competizione di calcio si è disputata nel continente africano e il Sudafrica, paese ospitante, alla fine ha stravinto la sua Coppa del Mondo. A suon di vuvuzela ha sconfitto tutti i pregiudizi, mettendo in campo un’ottima organizzazione, e degli stadi futuristici e pieni di tifosi che hanno dato alla ricca e supponente Europa un esempio di civiltà e di allegria.
È stata la prima volta della Spagna, una nazione capace di vincere ben 12 Coppe dei Campioni/Champions League tra Real Madrid (9) e Barcellona (3), e di non raggiungere mai nemmeno la semifinale nella competizione più importante del mondo a livello di Nazionali. A due anni dal trionfo europeo, ha alzato meritatamente la Coppa in una finale inedita contro un’Olanda nervosa e aggressiva che ha perso la terza finale della sua storia, rimandando per l’ennesima volta il successo. Come tutte le finali di un Mondiale, non è stata una bella partita. Le due squadre si sono studiate a lungo, con le Furie Rosse a comandare il gioco e a far girare la palla e gli Orange a interrompere le azioni avversarie, con interventi al limite del regolamento. Dopo una girandola di cartellini gialli, qualche bella parata del portierone olandese e un’occasione ghiottissima fallita da Robben, hanno prevalso gli iberici ai supplementari con un bel gol di Iniesta, uno dei simboli del centrocampo più forte del mondo, che si può permettere di lasciare in panchina un fenomeno come Fabregas, il capitano dell’Arsenal. Così, per la prima volta, una squadra europea vince il titolo mondiale fuori dall’Europa.
Comunque l’Olanda ha disputato un gran torneo, battendo il favorito Brasile ai quarti di finale e riuscendo a sfiorare un’impresa che neanche la fantastica formazione di Cruyff riuscì ad ottenere con il suo calcio totale, perdendo due finali consecutive nel 1974 e nel 1978 contro i padroni di casa della Germania di Gerd Müller prima e dell’Argentina di Mario Kempes poi. Agli arancioni rimarrà, forse, la soddisfazione di vedere alzare il Pallone d’Oro a Sneijder, il tre-quartista che ha vinto tutto quest’anno con l’Inter e che ha segnato 5 goal, anche grazie a diversi rimpalli fortuiti, nella competizione sudafricana. A quota 5 sono arrivati anche Villa (Spagna), Forlan (Uruguay) e Müller (Germania), ma in virtù del maggior numero di assist forniti è quest’ultimo ad aggiudicarsi il titolo di capocannoniere. I quattro migliori marcatori sono l’espressione delle quattro semifinaliste: nell’altra finale, quella di consolazione, si sono affrontate due tra le squadre rivelazione del torneo. Una è l’Uruguay, con un numero di abitanti pari all’incirca a quello di Roma e già due volte Campione del Mondo (nel 1930 e nel 1950), oltre che vincitore di due titoli olimpici nel ’24 e nel ’28 quando le Olimpiadi erano il vero Mondiale di calcio, che non raggiungeva la semifinale da 40 anni. In quella partita fu sconfitto dal Brasile di Pelé, Gérson, Rivelino, Jairzinho e Tostao, da molti considerata la compagine più forte di tutti i tempi, che si portò a casa la terza Coppa Rimet battendo nella finalissima di Città del Messico l’Italia di Valcareggi. Erano i tempi di Italia-Germania (quella dell’Ovest) 4-3, del gol decisivo di Rivera e del suo dualismo con Mazzola, di una partita diventata romanzo, film, epica. L’altra semifinalista è stata proprio l’eterna Germania. Una Nazionale capace di vincere tre Mondiali e di perdere quattro finali, una squadra che non sempre parte con i favori del pronostico ma che alla fine arriva sempre in fondo. È arrivata terza con una serie di giocatori giovani, bravi tecnicamente, anche perché (chissà!) molto poco tedeschi.
È stata la prima volta, infatti, della Germania multietnica. Dei 23 atleti convocati dal ct Joachim Loew, ben 11 vantano radici all’estero con 8 Paesi rappresentati esclusa la Germania: Polonia (Klose, Podolski e Trochowski), Turchia (Ozil e Tasci), Bosnia (Marin), Spagna (Mario Gomez), Ghana (Boateng), Nigeria (Aogo), Tunisia (Khedira), Brasile (Cacau). E tra loro, più della metà sono nati fuori dai confini tedeschi oppure hanno almeno un genitore non-tedesco.
Curiosa la storia dei fratelli Boateng: Jerome indossa la maglia della Germania, mentre il fratello Kevin-Prince quella del Ghana. I due sono figli dello stesso padre (ghanese) ma di madre diversa (tedesca), entrambi sono nati a Berlino ed attualmente giocano in Inghilterra: Jerome, 22 anni, difensore, da poco acquistato dal Manchester City; Kevin-Prince, di sei mesi più grande, centrocampista, al Portsmouth. Il primo è abbastanza timido e introverso, il secondo parecchio esuberante: ha 15 tatuaggi, uno dei quali dice “il mondo è tuo”, citazione da “Scarface”, e adora il rap duro. Proprio tanta esuberanza, in una partita della premier League contro il Chelsea, ha portato Kevin a commettere il fallo che è costato il Mondiale al capitano della Germania Ballack. Tutti e due sono cresciuti nell’Hertha Berlino e hanno fatto la trafila nelle rappresentative nazionali giovanili teutoniche, con la differenza che il primogenito, a poche settimane dal fischio d’inizio della Coppa, ha accettato la chiamata del Ghana, attirandosi le ire dei tifosi tedeschi che non hanno dimenticato il fallaccio su Ballack.
Ma le coincidenze non finiscono qui, perché in Sudafrica i due fratelli rivali si sono affrontati nel girone eliminatorio, nell’ultima gara decisiva per il passaggio del turno. Ha vinto la Germania, ma sono passate entrambe. Il Ghana, ultima squadra africana rimasta in corsa, è poi uscita ai quarti al termine di una gara incredibile persa ai rigori contro l’Uruguay, dopo aver fallito un penalty all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare.
È stata la prima volta che la squadra ospitante non si è qualificata agli ottavi di finale. La formazione sudafricana, pur battendo la Francia nell’ultima gara del girone, si è vista eliminare per la peggior differenza reti, mentre i transalpini hanno chiuso all’ultimo posto del gruppo. Tragicomica l’avventura dei “galletti” nella spedizione iridata. I dissapori tra il tecnico Domenech e gran parte dei veterani ha portato alla cacciata di Anelka dal ritiro per aver insultato il C.t. e ad una ulteriore spaccatura all’interno dello spogliatoio, culminata con l’ammutinamento dei giocatori che hanno boicottato un allenamento, con il paradossale comunicato letto alla stampa dall’allenatore e con le dimissioni del capo-delegazione francese.
Non molto meglio è andata alla spedizione azzurra. Lasciata l’Italia tra lo scetticismo generale per le pessime prestazioni offerte nelle amichevoli pre-Mondiali, i calciatori di Lippi hanno confermato tutte le lacune già evidenziate: poca qualità, mancanza di fantasia e di personalità. Certo, gli infortuni di Pirlo e Buffon, subito, non hanno aiutato. Però giocatori come Cassano, Balotelli, Perrotta e Totti avrebbero cambiato faccia alla nostra timida e abulica Nazionale. In particolare i due romanisti Campioni del Mondo, che hanno disputato un ottimo campionato sfiorando lo scudetto (della Roma è stato convocato il solo De Rossi), avrebbero fornito le soluzioni alternative di cui Lippi avrebbe avuto bisogno. L’adattabilità di Perrotta a ricoprire tutti ruoli del centrocampo e la sua abilità negli inserimenti avrebbero risparmiato diverse figuracce a Marchisio, il cui ruolo è stato snaturato. E poi la classe e l’estro di Francesco Totti avrebbero permesso di velocizzare il gioco, di trovare le verticalizzazioni che non si sono mai viste, di mettere l’attaccante di fronte al portiere avversario. Che è ciò di cui ha maggiormente sofferto l’assenza Gilardino, costretto sempre spalle alla porta, con pochi rifornimenti e rare opportunità di liberarsi e andare alla conclusione. Così le due finaliste dell’ultima edizione, per la prima volta nella storia della Coppa del Mondo, non sono riuscite a superare il girone iniziale.
Il Mondiale delle europee era in effetti partito male. Tutte sembravano faticare anche contro avversarie poco blasonate, quelle che una volta appartenevano alla categoria “squadre cuscinetto”. Invece si è dimostrato un torneo equilibrato, dove soprattutto le Nazionali asiatiche, come le due Coree e il Giappone, hanno dimostrato di aver raggiunto ottimi livelli. A spron battuto avevano iniziato invece le sudamericane, tanto che in molti sognavano per la prima volta una finale Brasile-Argentina. I verde-oro potevano contare, come al solito, di fuoriclasse assoluti che però hanno perso la testa e non sono riusciti a reagire allo scoppiettante secondo tempo dell’Olanda. La Selecciòn di Maradona, dal canto suo, era un insieme di individualità che non è mai diventato squadra. E se si spegne la luce di Messi, un fenomeno che purtroppo è sparito nella partita decisiva, tutto si fa più difficile. L’Argentina è stata spazzata via dalla Germania 4-0, consentendo alle europee di piazzare tre formazioni su quattro in semifinale, e la “Pulce” Messi ha concluso il torneo giocando bene ma senza segnare nemmeno una rete. Tra le tante stelle annunciate è stata senz’altro la sua a brillare di più. I vari Cristiano Ronaldo, Kakà, Rooney, Torres hanno deluso le aspettative, mostrando ben poco del loro incredibile repertorio.
In definitiva, è stato il Mondiale dell’Africa. L’assordante suono delle vuvuzelas ha accompagnato, non senza polemiche, tutte le partite del Mondiale in un clima di festa e allegria dove per un mese il Continente Nero si è colorato di mille bandiere, e sulle note di Shakira si è proiettato al centro del Mondo: “It’s time for Africa”.
as/gpg

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