La distanza maggiore tra me e te, maestro Zdeněk Zeta tu lo sai, la segna proprio la percezione del derby.
No, caro mister, non è davvero una partita come le altre.
Il problema vedi non è tutto – solo – nella sconfitta, che ci sta, soprattutto se fai un calcio inutile e immeritevole.
Il tema non si esaurisce con la cosiddetta posta in palio, che in questo caso alla ‘supremazia cittadina’ aggiungeva uno sgabuzzino in Europa con qualche denaro per presunto calciomercato.
E poi una coppa mediocre ma per noi numero dieci, con tanto di stelletta e corsetta al gadget taroc/celebrativo, e una sfidanza chissà dove contro la Juve, ad agosto.
Dopo ogni derby perso, la questione centrale è nel laziale. Che all’indomani si diffonde, si sa, come erba di campo.
Il laziale sono tanti. Troppi. Silenzioso e improvviso. Festaiolo. Aver cambiato quartiere non m’ha giovato.
Dal garagista moldavo – sciarpato e berrettato – con l’insana passione per l’aquila, all’educatissimo condomino della scala C, amabile se si tratta di cederti il posto in ascensore ma con loschi trascorsi in curva nord e voce baritonale a inneggiare, dimmi tu, persino Igli Tare.
Dei colleghi che si sveleranno solo nelle prossime ore preferisco tacere. Il romanista è da sfottò. Il collega lazialeanchesenontelavevoancoradetto mi offrirà comprensione e pietà.
Sono circondato dai fantasmi di Manzini senza occhiali scuri e Brocchi senza maglia, da Lotito che si pomicia la coppa e da Mauri, che ‘sta coppa era sicuro di alzarla, c’avrebbe scommesso. Al risveglio per qualche secondo ho sperato, immaginando un bluff.
Il laziale sono troppi.