Il manifesto di Niko e il 2-2 – San Lorenzo, pari e applausi (Corsport di ieri, di Massimo Basile)
“Che ne sanno, scrive Niko Zappavigna. Della tensione che il venerdì non ti fa dormire. Di quello che provi quando sei il primo ad abbracciare quello che ha segnato e subito dopo sei sommerso da tutta la squadra e ogni botta che senti è un compagno che arriva e, saltando, si aggiunge al mucchio. E che ne ssanno, gli altri, la famiglia, gli amici, la fidanzata, i compagni di lavoro, di come trattieni il fiato quando il mister annuncia la formazione e di quella carezza che, senza guardarti, chi gioca dall’inizio ti dà, mentre sei rimasto seduto con la maglia numero 15 tra le mani. Il giorno in cui Zappavigna, primo espulso della storia dell’Atletico San Lorenzo, la “squadra del popolo”, non gioca, il calcio declina lo stesso il suo “manifesto”, valido per tutti i dilettanti: la felicità è un pallone che rotola. Niente primedonne, niente operetta, chi resta a terra dolorante è perché ha preso una botta vera. Il respiro del calcio è dilatato: l’attesa del gol, la gioia, la frustrazione, l’ansia in area. Alla gente, in fondo, piace la verità, per questo – nonostante tre sconfitte di fila – al campo Artiglio sono sempre in trecento a tifare. I riflettori sono deboli, si gioca nella penombra notturna ma è una bella partita. Con il Ciciliano finisce 2-2 e il San Lorenzo recrimina, fermato all’ultimo secondo, uomo davanti al portiere, per un fuorigioco inesistente. La polemica sfuma subito, perché c’è la vita là fuori. Oggi, nel quartiere, presenteranno la squadra femminile e daranno il via alla maratona dei bambini. Dunque, il Ciciliano sblocca su rigore (Gabbelli), risponde Mulè (rigore), poi l’Atletico va sul 2-1, nella ripresa, con una punizione di Ginetto Restuccia, destro da venticinque metri e palla all’incrocio. Sembra fatta, ma il Ciciliano pareggia in modo definitivo, in mischia, con chi? ‘Il gol l’ha fatto Alessa’… – dice a fine gara il capitano – er cognome, beh, nun meo ricoordo’. Vabbè, lui. Ancora Gabbelli. Ma in fondo, che ne sanno, gli altri, di quelli che vanno in campo e lottano con te, soffrono, gioiscono, escono abbracciati e stremati della tua stessa stanchezza, e neanche sanno come ti chiami”.