Ho giocato a carte col destino di un altro.
Quanti possono affermare lo stesso?
Dodici ali per sei carlinghe e sette figli a masticare tabacco con le zappe in aria e la terra in gola.
La sigaretta mi si spegne tra le labbra e mi desta da sogni confusi.
Mi accorgo che un crampo può essere meno doloroso della realtà!
Correre liberi e veloci è bello ma fuggire è anche tremendo e sperare di star dormendo ancora, è troppo sciocco quasi quanto fingere di non sapere che fermandomi rischierei di raggiungermi.
Prima o poi perderò questa corsa perché ho bisogno di riposarmi e in quei momenti i pensieri corrono più veloci e guadagnano terreno.
Uno, due o anche tre mesi di distacco non mi basteranno per dimenticare: il respiro di quel che mi insegue lo sento già sul mio collo e non è affanno né rabbia né gioco di carte quello che ho addosso.
Chiedo a uno dei miei figli se è sicuro che il raccolto non verrà rovinato come l’ultima volta e rischio di comportarmi da padre come non ho mai voluto ma forse, tutti insieme con gli anni, mi capiranno.
Quando riapro gli occhi mi accorgo che è troppo tardi.
Mi dai da accendere e spero di non aver sbagliato troppo perché una preghiera non è fatta solo di parole.
Mi siedo e mi guardo tra le fiamme trovando un sorriso poco sincero e troppo ironico per passare inosservato: sicuramente mi sono sconfitto … Ma avrò sette speranze per essere capito e ricordato per i miei passi da gambero forse non del tutto fuori tempo per essere compiuti.
In mia difesa affermo che in fondo è stato bello aver perso tanta tenerezza che non averla mai incontrata ma chi è imparziale scuote il capo, mi condanna e prende il volo senza aggiungere né ascoltare altro.
Ora, so d’aver perso.
BILANCIO