Cecchi da Cecina, aspromare della Toscana, figlio di una zio ribelle e di una madre di secondo letto, masturbatore seriale ma più per noia che per vezzo, coltivatore diretto, bucolico e ameno. Vuol mollare tutto, in cerca di catastrofi urbane. Sì, il Cecchi vuol migrare in città.
Ma no, io no, io lo rimbalzo e lo dissuado alla mia maniera, davanti a un rosso friulano condito da pane, porchetta e senape.
Non è, non è per te, questo paese, borgo, città, con le case ad alveare e il verde a fazzoletto, le merde a far da birilli davanti ai piedi di vecchi scodinzolanti sui marciapiedi. Città dove tanta è poca la luce che, in una mattina di pioggia qualsiasi, alle 8 sembra mezza sera.
Dove il maneggione è “stiloso” e l’automobile una condanna repressa e cercata.
Dove al mercato, una volta la settimana, ce se scanna perché i punti-premio pe’ la spesa so’ doppi
Dove stanno tutti in riunione; quanto a scaltrezza poi, sempre un gradino più
Dove la lotta vera e sola è per essere riconosciuti, il vento s’apprezza solo se soffia piano, pure le ciabatte si portano col tacco
Resta, resta Cecchi mio, sull’aspromare
Simone