Lucrezia, matrona romana doc, è alla stazione.
In breve, torna indietro col pensiero.
A quando era salita su un treno ed aveva guardato schifata la destinazione. I treni si prendono solo per andare a sud, si concedeva. O per tornare a Roma, da ovunque si stia.
Eppure era salita a Milano.
E aveva scoperto che Milano in fin dei conti non era la fine del mondo. Era una città come le altre. Anzi, più funzionale. Ok, non aveva mai incontrato il sole, come nei migliori luoghi comuni sulla Lombardia, ma Milano non era male per niente.
C’era salita per amore, per raggiungere il brandello più grande del suo cuorecervellostomacopelle.
E poi c’era riandata.
E aveva preso un altro treno.
Aveva lasciato passare giorni, settimane. Poi mesi. Poi stagioni.
Si saliva a Milano e si tornava a Roma.
Pregando che tutto andasse bene.
Poi la vita era cambiata.
Mesi dopo, era ormai un’altra Lucrezia, aveva deciso di prendere tra le dita quel brandello del suo cuorecervellostomacopelle.
E aveva chiesto: “Come va?”
La porta chiusa in faccia, no. Non se l’aspettava. Anzi, non se la meritava.
Ma Lucrezia – col naso dolorante per la porta chiusa in faccia – aveva ripensato a quei treni. Agli euro fumati in TAV. Allo stress, alla fatica. Alla porta chiusa in faccia, nonostante i treni, gli euro, lo stress, la fatica.
E si era detta: “Lucrezia mia, hai fatto bene. Lo rifaresti. Chilometro per chilometro. Lo rifaresti. Perché tu sai esserci, indipendentemente dal risultato. Perché dovevi esserci. Perché volevi esserci”.
La porta chiusa in faccia faceva meno male.
Lucrezia sorride, ora, e sale sul treno. Verso un’altra destinazione.
Anna Eva Laertici
Col tempo imparerò
A non odiare il mondo
Col tempo capirò
Da cosa mi nascondo
E mi riscoprirò
Capace a perdonare chi
Si è preso il tempo mio
Si è preso le carezze
Di cui ho bisogno anch’io
Si è preso le incertezze
Ma forse ho perdonato già