“Ar traffico nun te c’abitui”, sentenziava il tassinaro che ti riaccompagnava all’aeroporto, gomito fuori dal finestrino e sguardo perso sulla tangenziale Est.
Di nuovo ti accorgi, dopo qualche giorno a casa, della consueta rimozione, indotta un po’ dalla lontananza e dallo Heimweh, il dolore del ritorno, un po’ dalla tua vita di ora, nordica e senza traffico.
Ma capitava anche a te. E nelle lamiere, come tutti i romani, ci passavi in media quasi un’ora e mezzo al giorno. 20 giorni della tua vita di un anno. Più di due anni su quasi quaranta. Oltre a quelli trascorsi cercando un parcheggio.
Al traffico non ci si abitua, è vero, ma ci si rassegna. Non ti era bastato, prima, viaggiare, per capire che un altro mondo è possibile. L’hai capito solo quando hai iniziato a vivere, non da turista né da viaggiatore, in un’altra città. Improvvisamente hai scoperto di avere più tempo e meno mal di schiena.
E vedi dal finestrino, mentre voli via, che questo è stato il loro più grande successo. Indurre a credere la tua città che rassegnazione significhi saggezza millenaria e non suddita coglioneria.
Tutto. Mi piace tutto. La forma, la sostanza.
AEL