Uno schiaffo l’ho preso perché è lunedì e io vivo bene solo nel weekend.
Poi c’è stato lo schiaffo – anzi due – che m’hanno dato i cugini.
Segue, ovviamente, la raffica di ceffoni che il lunedì post-derby ti riserva l’altra metà del cielo urbano. Chi non ha un derby nella propria città, non può capirmi. Beato chi tifa Juve in Calabria, Inter in Sicilia e Milan in Trentino, che vive bene e non compra tutto il Maalox che me so’ presa stamattina io.
E c’è lo schiaffo della primavera che sembrava essere arrivata e mo’ sti stronzi delle previsioni – e sì lo so, non è colpa loro, ma io con qualcuno me la devo prendere – dicono che riscenderanno le temperature e pioverà pure. Gnent’artro, dottò?!?? Eccheccazzo!
Arriva piano, ma arriva, lo schiaffo della lettura di un funerale augusto e solenne – di un poeta per giunta, e già mi rodeva solo per quello – in cui tutti si stringono attorno ad un compagno che la legge italiana tratta come un qualsiasi sconosciuto.
Lo schiaffo è che la legge, anzi la mancanza d’una legge, non è scelta da uno Stato sovrano, ma da quello staterello che inglobiamo nella mia città, sopportiamo, pasciamo, scortiamo, veneriamo, viziamo e strapaghiamo. E da cui ci facciamo dettare l’agenda politica.
E la guancia non si riposa, perché eccolo, l’ennesimo schiaffo: è in tutta quest’enfasi sul morto nella costruzione di un palco per un concerto. Perché quando c’è il nome celebre si parla, ma occhio bimbi, che i morti sul lavoro sono due al giorno. E un qualsiasi cantiere edile, e un qualsiasi operaio forse a nero (e forse nero…), non dovrebbe valere meno di un niente rispetto al grande palco del grande concerto della grande romagnola.
A corollario, segnalo lo schiaffo di un’isola che non vuole riscattarsi. Io quell’isola la porto nel cuore e vederla consegnare ancora una volta alla sua malattia mi fa rabbia.
Infine, c’è lo schiaffo privato.
La verità è che questo schiaffo non è nemmeno più passeggero. Non lo scorderò in un giorno.
Ci sono lezioni che restano nel basso del mio stomaco e non riesco a vomitare.
Ma lo schiaffo privato fa male, troppo male e non ho voglia di spiegarlo. Lo schiaffo privato lo tengo, mi accarezzo la guancia, dove sono stampate le cinque dita del destino bastardo.
Oggi è uno di quei giorni in cui non sarei dovuta uscire di casa, non avrei dovuto vedere persone, né mettere un piede davanti all’altro e provare a camminare; oggi è uno di quei giorni in cui ci vuole troppo coraggio a fare figli in questo mondo; è uno di quei giorni in cui vorrei fare ‘skip intro’ sulla settimana; uno di quei giorni in cui non riesco a sopportare la vista delle sue lacrime e nemmeno quella di altrui risate; oggi non ho la forza di niente, non ho voglia di niente, non so niente; oggi l’orizzonte è coperto, oppure è vicino e mi fa schifo.
Oggi è uno di quei giorni in cui l’oggi deve rapidamente diventare ieri.
Anna Eva Laertici
sempre una spanna sopra. brava.