Ci penso ogni 17 giugno.
Le ore prima, il terrore di sbagliare, poi la gioia, l’esplosione negli occhi di tutti i miei affetti, l’invasione pacifica ed entusiasta di un milione di persone nella città più bella del mondo.
Era il 2001, c’era già Totti.
Ho pensato a lungo, se ha ancora senso inneggiare a quella data.
io mi vestivo di ricordi per affrontare il presente
Oggi che non c’è niente, solo l’amaro di un mese fa, il dolore di sconfitte e anni di sanguinose disillusioni dopo splendide illusioni (il mio cuore resta pieno di Zeman), ebbene, oggi non c’è nemmeno il domani.
Eppure allora…
quando ero innocente, quando avevo nei capelli la luce rossa dei coralli, quando ambiziosa come nessuna mi specchiavo nella luna
c’era il Presidente, anche criticato, ma c’era. Rappresentava una famiglia, ma soprattutto era emblema di un’idea, un progetto, una città.
Oggi c’è un presidente con la p minuscola, una società con la s minuscola. Si riuniscono per far firmare il nuovo allenatore. A New York. Eh? Perché? Cosa c’entra New York? Come puoi fare il presidente da lontano, da casa? Cos’è, uno spot per il telelavoro? Sei il presidente della Roma, hai quest’onore – che è un onore cento volte prima che un onere – e resti lontano dalla capitale del mondo?
Un presidente che pochi giorni prima l’infausta finale, si presenta davanti al vescovo di Roma e gli consegna la maglia. Dei Boston Celtics.
Quel Sensi che vestì di giallorosso Batistuta e Capello, Cafu ed Emerson, non lo avrebbe mai fatto.
Se pesco chi un giorno ha detto “il tempo è un gran dottore” lo lego a un sasso stretto stretto e poi lo butto in fondo al mare
Ma dov’è il futuro ora?
Dov’è il presente?
Dov’è la Roma?
Il 17 giugno del 2001 li vidi tutti. I miei affetti. Gli amici, il ragazzo, mio fratello, mia cugina, conoscenti, tutti quelli che se si fossero tagliati avrebbero visto fiotti di sangue giallorosso. Abbiamo riempito gli occhi e i cuori con l’oro degli dèi, il porpora dei re. Nel nostro latino sporco che parliamo oggi, abbiamo pianto gioia tra l’Aventino e il Colosseo.
E ora?
Cos’è rimasto ora?
Niente. Non abbiamo niente. Non c’è progetto, non c’è futuro, non c’è un giocatore degno (ne salvo uno, ma sono 21 anni che sputa sangue), non c’è un dirigente, un presidente, un allenatore che mi faccia sperare. Non c’è niente.
C’è ancora una volta il sapore di fiele di quei ricordi, quando guardavi il campo dalla curva e pensavi
“Sei bellissima! sei bellissima!”
Accecato d’amore restava a guardare: “Sei bellissima, sei bellissimaaa”…
Anna Eva Laertici