-“Lei è mia moglie” – disse presentandomi quella che un tempo era la “sua” ragazza.
Mi venne così in mente che lei, per suo marito, non era mai stata Francesca, Claudia, o un qualsiasi altro nome si voglia tirarar fuori.
No!
Lei è sempre stata un qualcosa di suo: amica, ragazza, ed ora moglie.
Sembrerà stupido o un eccesso di pignoleria grammaticale ma a pensarci bene e volendo calarmi nella situazione, sento che a me non piacerebbe sentirmi presentare quale amico, ragazzo o marito di qualcuno anche perché, in fondo, mi farebbe sentire come una persona che parte in svantaggio in un gioco in cui per vincere, bisogna che principalmente per gli altri si ricopra un ruolo libero, attivo e non che invece ci si ritrovi ad essere individuo legato da vincoli sottili ma tanto saldi da farti sentire quasi come un oggetto di qualcuno.
Provai immediatamente una sensazione di tenerezza per quella ragazza che, a giudicare dal suo sguardo profondo, probabilmente soffriva una situazione che la faceva dipendere da un uomo il quale oltre che presentare con fierezza “sua” moglie ai nuovi conoscenti, con altrettanta vanità parlava del “suo” lavoro, del suo ferrari, dei “suoi” amici.
Pensai che in fondo sono molti quelli che alla fine si sposano più pensando di poter un giorno dire – “questa è mia moglie”- o – “questo è mio marito”- che per presentarsi come due che insieme ci si trovano per amore.
Poi mi venne in mente di chiedermi perché mai lei avesse accettato di trovarsi in quella situazione ma fui interrotto appena in tempo da una frase di un suo discorso che mi spiegava quanto buon gusto abbia dimostrato di avere suo marito sposandola e quanto fascino lei, per essere riuscita a farlo “suo”.
– “Già! Siete fatti l’uno per l’altra”- dissi allontanandomi da due persone che volersi bene, non sanno neanche cosa voglia dire.
Sposatevi pure