Dal balcone del quinto piano della palazzina E s’affaccia Memmo, cinque-sei volte al giorno, cartine e tabacco, fuma composto e compulsivo, ciondolando sul culo.
Lo imbottiscono di calmanti perché alle 9 devono stare tutti fuori, chi in ufficio, chi al bar, chi sul marciapiede a battere chiacchiere in giro per il quartiere e Memmo, che è quello nato strano e cresciuto peggio, se non lo sèdi rompe il cazzo, dicono loro, che ci vivono da sempre.
Memmo quando gli avanza il mezzo chilo di lucidità prende un jeans e ‘na magliettaccia e cala giù al garage di Sandro, molisano di nascita e de core.
Sandro gli impresta un vecchio Ducato parcheggiato da mesi nell’autorimessa e Memmo tutto contento ci si acciambella dentro.
Il motore spento non gli fa paura, quel furgone profuma di Tiburtina e gasolina, porto sicuro contro i mostri senza fantasia
Memmo quando ce la fa è uno che scrive. Il foglio bianco è da sempre uno dei suoi lati oscuri. Per questo preferisce la cartaccia stropicciata rimediata in giro dove capita. E’ un confidente convinto e prezioso dei suoi pensieri.
Li scrive veloci, prima di perderli e prima del ragù, annacquato, di mezzogiorno
Questo me lo ha regalato oggi: “A Simo’, ricordete, una buona intenzione.. dopo mezza giornata puzza de fioretto da chierichetto. E, personalmente, a me i fioretti me stanno sulle palle, so’ farsi come ‘sto ragù”. Amen