Amaranto Pittalughi vive di visioni lugubro-poetiche, che trasforma in parole e gioco del pallone.
Attualmente va avanti così. Dal lunedì al sabato campicchia di scrittura gotico-lirica; la domenica pomeriggio sogna e smoccola sugli spalti dello stadio Tarzellu seguendo il suo Bitorno, compagine dal nome facile allo scherno, anche per le frequenti retrocessioni..
Parole e pallone, tastiere e testate, testi, tasti e tipi tosti. E poi le sue visioni, lugubro-poetiche.
Amaranto ha da poco scollinato i trenta, sogna la svolta e la segna sull’agenda. Non vuole tanto, solo lasciarsi un po’ in pace.
C’è troppo chiaroscuro nella sua esistenza, troppo passato che incombe e si infiltra, fa attendere il presente e ruba le ore, preziose o no che siano..
Il Pittalughi ha bisogno di una svolta. E forse l’ha trovata, rovistando tra parole e pallone. Un paio di righe strappate a un libro di Friedrich Nietzsche e poi infilate sotto il cuscino dall’amico Stelo, mentre Amaranto si godeva l’insolita doppietta di Madonnara, arcigno terzino idolo del Tarzellu.
Amaranto ha letto e riletto quelle parole e ha deciso che è da quelle che vuole ripartire.
Ogni tanto, sostiene Nietzsche, bisogna provare a chiudere porte e finestre della coscienza, fare una ‘tabula rasa’, liberarsi dal giogo e dai giochi della memoria. Solo così si può ripartire.
Come una sgroppata di Madonnara. Come un capoverso.
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testo di Simone, illustrazione di Valerio Schiti