Alba

calcatabis

Ci siamo alzati all’alba, le scuse erano già finite, cercavamo carezze. Non fa caldo, almeno non mi pare, ma siamo comunque appiccicaticci. Percorriamo la casa – nuova, ci siamo trasferiti come carbonari proprio nei giorni in cui tutto era fermo – a piedi nudi, cerchiamo nuovi scorci per cominciare la giornata.

Marghe concentra tutto il suo disordine nei capelli. Secondo me lo fa apposta. Li arruffa all’estremo e poi li snoda per mezzore. Tanto l’appuntamento clou della mattina, la videolezione da 42 minuti, pause incluse, è alle 11. C’è tempo, troppo. Pippo saltella in corridoio. Sulle punte, dice che così il virus non lo becca.

E poi continua a chiederci di portarlo alla ciclabile “sovversiva”, quella nascosta tra le erbacce dietro la Ei fu scuola elementare. È lì che da qualche giorno tutti i ragazzini, e i genitori, renitenti alla quarantena si danno appuntamento. Paola mangia pane e bollettini: morti per, morti con. Ultimamente ha la digestione lenta. Esploriamo ogni centimetro, sfruttiamo ogni rifugio della nuova tana, la casa nuova, che già c’ha messo le mani al collo e stringe forte. Da qui non si esce, sembra dirci.

Io mi giro tra le dita un girasole, bello e finto, e mi chiedo a quale nome, quale storia, quale volto di questi giorni assurdi, donarlo.

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