Aveva preso pochi piccoli appunti nella sua vita.
Il primo era domandarsi per quanto tempo ancora avrebbe trovato, in giro per la casa, cose che appartenevano a chi aveva albergato in quelle stanze e nel suo cuore.
La settimana scorsa era stato un libro, confuso nella sua libreria. Il che era uno smacco, perché la libreria la teneva in un ordine da bibliotecaria – o da malata di mente, dicevano i maligni – che faceva paura a chiunque osasse avvicinarsi (alla libreria, e a lei).
Poi, nascoste in un cassetto, erano state delle ricette. Sì, ricette di cucina. Non le appartenevano. Forse avrebbe dovuto chiamare e dire “ciao, scusa, sono io. Sì, sto bene, è un po’ che non ci sentiamo, ma va tutto ok. Però hai lasciato un libro e quelle ricette, ti ricordi le ricette di quella cena…”.
E mentre rimandava, d’improvviso, ecco che su una sua maglietta riposta correttamente in un cassetto, aveva trovato un capello. Un capello. Ecco, no, il capello non l’avrebbe restituito. L’aveva tenuto un po’ fra le dita, aveva sorriso, aveva sentito una fitta nello stomaco. Poi era volata lontanissimo con la mente. Alle proprie dita infilate fra quei capelli. Al mare, a casa, a letto. No, il capello non lo accettava. Era finito nella tazza del cesso. Il dolore, però, quello non era finito. Né nella tazza del cesso, né altrove.
Il secondo appunto fu banale conseguenza.
L’amore è un’infrazione alle regole.
La multa, salata, te la fa pagare la vita.
Anna Eva Laertici