Al ritorno

Quanto sono stanca.

Corriamo alla stazione. In moto. Sfreccia nel traffico, tra 10 minuti c’è il mio Eurostar.
Devo ancora fare il biglietto. Mi sfilo il casco mentre rallenta, volo dentro, biglietteria automatica, ecco il binario, volo sul treno, bacio, ciao ciao, a presto, ok, ci si sente.

La carrozza è questa, non posso crederci, finalmente un treno con un clima normale, non c’è il caldo umido da foresta tropicale degli sfigatissimi convogli dei pendolari, non c’è l’aria condizionata stile “Ice Age” da fighetta TAV assassina.

Wow, che meraviglia viaggiare di lunedì. Il vagone è semivuoto, accanto a me il deserto.

Vengo direttamente dal mare, ho il costume bagnato… a questo punto scatta l’idea intelligente, tanto chi mi vede, non c’è nessuno… mi sfilo il pezzo di sopra del costume, ah, che sollievo, così non bagno nemmeno la maglietta e non resto con il freddo addosso.
Mi compiaccio, sono un genio.

Dura 20 minuti il mio compiacimento.

Il tempo che il treno si fermi alla stazione del paesino successivo e che salga un individuo destinato a sedermi di fronte.
Il tempo che io capisca che l’aria condizionata da iceberg del Titanic c’è anche su ‘sto treno.
Prima era spenta perché eravamo fermi nella stazione, porca paletta, ora mi iberno, la reazione del mio corpo femminile sarà imbarazzante, non sarà mascherata da un reggiseno e il tipo davanti a me potrebbe conoscermi più di quanto non vorrei.

Due ore di viaggio con le braccia conserte.

Sì, sono un’idiota.

Anna Eva Laertici

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