Il giorno in cui mi risvegliai albero il cielo si proponeva in un blend aromatico di colori oro, arancio e rosso, le porticine delle case di gesso erano socchiuse quando non del tutto serrate e le curve delle colline ambivano a una buona sintesi di fieno e merde stagionate.
Un leccio, forse un pioppo, spoglio eppure frondoso. Una logorrea di ramuncoli e robuste protuberanze che mi si conficcavano nel tronco.
Salutarsi uomo e risvegliarsi albero non è per certo esperienza diffusa
ma, confesso, piacevole e gradita.
La mia immobile possanza mi regalava il piacere della perpetua stasi,
accettata, non commentata, quasi contemplata.
Non portavo più gli occhiali.
Non avevo scaffali su cui sommare inutili mutande, camicie, calzini e
t-shirt.
Non avevo più un pettine.
Non dovevo spiegazioni né cortesia.
Potevo flirtare con la gazza, il fungo, la resina.
Insomma una felice trasformazione botanica. Al punto che, il secondo
giorno, quando mi ritrovai ancora una volta uomo, lo smarrimento fu tale
che decisi di inumarmi assieme a una copia di Vanity Fair.
Ma quanto m’è piaciuto sto post?
Voglio flirtare anche io con una gazza, un fungo e la resina.
Questo racconto sa di libertà.
AEL
grazie Cate