A Bari dicono che non ha il mare, ma in questi quattro giorni io ho rischiato di perdermi nel Louvre, grande da solo come una metropoli (e come mi emoziona la Nike lassù!); mi fa sorridere riuscire ad amare questa città, a perdermici, a commuovermici, anche se è la sesta o la settima volta che ci vado; mi chiedo cos’abbia di speciale, poi la osservo muoversi accanto a miei piedi e capisco che cosa non ha di speciale, niente; quattro giorni di code sotto e sopra la Tour Eiffel, per scoprirmi più coraggiosa di quanto non ricordassi; vederla a Natale, coi negozi impacchettati nelle celebri illuminazioni che l’hanno resa grande, a lei, la ville Lumière; mi chiedo perché qui, io che amo l’olio d’oliva, loro che abusano di burro, perché mi ci senta lo stesso a casa; quattro giorni di spiedini di frutta immersi nel cioccolato, perché sotto le Feste ho potuto passeggiare nel freddo dei mercatini natalizi allestiti lungo tutti gli Champs-Elysées, a mangiare crêpes, gaufres, cioccolatini e a bere vino caldo e orrido caffè; o forse mi ci sento a casa, perché il francese è davvero l’unica lingua che so, che amo, che assaporo sulle labbra quando proferisco qualche parola, quando provo ad imitarne la ‘r’ arrotata; ho pensato a tutto mentre calpestavo i suoi boulevards; ho cercato Jean Valjean, avrei voluto dirgli che è un buono, e che gli voglio bene, e non mi importa che non sia mai esistito, so solo che è il protagonista del mio romanzo preferito e secondo me in un angolo di place des Vosges il suo spirito c’è ancora; quattro giorni a rimirare non già l’immensità di una cattedrale gotica a cui i miei occhi romani non sono avvezzi, ma a saltellare infantile per l’albero gigante illuminato davanti a Notre Dame; quattro giorni di un viaggio diverso dagli altri del 2011, eh, già, lo ammetto; e poi lo sapete tutti, che ci posso fare, io la storia la amo e lì posso non perdermi a place de la Concorde a contare le 2700 teste cadute nella ghigliottina?; e dentro Les Invalides, davanti a quel feretro di porfido rosso che contiene i resti mortali di un uomo che ha messo un continente sotto i suoi piedi per 20 anni, posso non recitarmi il 5 maggio di Manzoni?; ho contato le lastre di vetro della Pyramide, perché mannaggia a me, ma sono riuscita persino a farmi contagiare dalle tesi iperboliche di Dan Brown; ho avuto voglia di rispondere all’opportunista ugonotto Enrico IV che sì, fanculo, aveva ragione, e tutto questo ‘val bene una messa’; e mentre leggevo sui palazzi, nelle effigi, sotto l’efficientissima metro e persino sulle monete da 2 euro, quel civilissimo grido di Uguaglianza, Libertà e Fratellanza, che a seguirlo tutti avremmo davvero avuto oggi un mondo migliore, ringraziavo i cugini di aver dato uno scossone a questo vecchio continente; e poco importa se qui non vi amano, e poco importa se qui esultarono per la craniata di Materazzi a Zidane; ma io mi sento a casa, mentre guardo le vetrine del PSG con la gigantografia di Menez; e se non mi sento a casa è perché la mattina il saccottino al cioccolato lo servite caldo, ma io vi adoro anche per questo; e mentre il freddo mi tagliava la faccia, o forse era solo un sorriso idiota da adolescente innamorata il mio, beh, mentre il gelo di un dicembre normale mi portava il profumo di baguette calde e formaggi squisitamente puzzolenti, io pensavo:
On dit qu’au delà des mers / Si dice che al di là dei mari
Là-bas sous le ciel clair / Laggiù sotto il cielo chiaro
Il existe une cité / Esista una città
Au séjour enchanté / Dal paesaggio incantatoEt sous les grands arbres noirs / E sotto i grandi alberi scuri
Chaque soir / Ogni sera
Vers elle s’en va tout mon espoir / Se ne va verso di lei tutta la mia speranza
J’ai deux amours / Io ho due amori
Mon pays et Paris / il mio Paese e Parigi
Par eux toujours / Tra loro sempre
Mon cœur est ravi / il mio cuore è diviso
Sì, io amo Parigi.
Annève Laérthicis
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ho riletto il tuo post dopo questi quattro giorni parigini.
per me era la seconda volta, ma la prima avevo 9 anni e quasi non conta.
mi sono ritrovata nelle tue parole, nel senso incredibile di familiarità e agio, nonostante i francesi non siano un popolo espansivo e simpatico (meno che mai con noi italiani), nonostante venissi da roma, la città più bella del mondo, e, diciamocelo, ce ne vuole per stupirci.
ma ho adorato (e odorato, tanto) l’aria, i bistrot, le brasserie, la metropolitain, anche la micropioggia che ha accompagnato ogni passo (termine tecnico “gnagnarella).
mi è venuta voglia di imparare il francese, che non conosco ma che mi piace.
non ci berrò mai più un cappuccino, questa è una promessa (l’ho ribattezzato “latte e fiele”).
ma ho lasciato tanto lì ad aspettarmi, compreso un pezzetto di cuore.
quindi mi tocca tornarci.
grazie Anna Eva, anzi… merci.