Sarajevo, ospedale, stanza 51 del reparto di pediatria. Cornice, guerra balcanica.
“Nell’unico lettino senza visitatori, il più lontano dalla porta, giaceva un bimbo dai capelli così neri da sembrare blu. La sua solitudine mi attrasse. Dalla bocca gli pendeva un ciuccio primordiale e palesemente inadeguato all’età. Una pezza macchiata di sangue saliva e scendeva dal petto in sintonia con il respiro. In una mano stringeva un palloncino scoppiato. Lo accarezzai ed esplose in un acuto “Mama! Dada!” “Sta chiamando mamma e papà” si inserì il dottor Joza. Era un infermiere, ma tutti lo chiamavano dottore. Si era meritato la promozione sul campo. “Salem è orfano. I genitori sono finiti sotto una bomba, il mese scorso. A lui invece un cecchino ha sparato allo stomaco”. Esisteva un essere umano in quella città, che per quisquilie di razza si era appostato dietro un cornicione, aveva inquadrato nel suo mirino telescopico un bimbo che giocava per strada con un palloncino e gli aveva sparato allo stomaco. “E’ nella lista per Londra?” mi informai. “Il dottor Joza scosse il capo. “Nessuna mamma si batte per lui.” Fu come se lo starter di una corsa a ostacoli avesse sparato dentro la mia testa. “Proverò io a tirarlo fuori da qui”. Tormentai funzionari dell’Onu e diplomatici inglesi, ma ognuno aveva la sua lista in tasca. Si limitarono ad inserire Salem in fondo ai loro elenchi come gesto di cortesia. L’unica speranza erano i dollari che custodivo nel giubotto antiproiettile. Ce ne vollero cento per avere un nome. Comandante Ciuka. L’interprete mi condusse all’appuntamento attraverso strade pulitissime. A Sarajevo gli spazzini lavoravano più in fretta della guerra. Come tutti gli abitanti della città in trappola, anche noi camminavamo sempre lungo lo stesso lato del marciapiede, quello non inquadrabile dai cannoni degli assedianti. Ogni due passi alzavamo la testa verso i tetti delle case per sondare la presenza di qualche cecchino. […]. Il comandante Ciuka ci aspettava in un bar fumoso […] Nella sua vita precedente aveva sosato per lunghi tratti in galera come bandito, ma appena Sarajevo era diventata una prigione a cielo aperto aveva armato trenta ragazzi del suo quartiere e si era autoproclamato loro capo […] il comandante Ciuka non era un buono. Era un giusto.
Gli raccontai la storia di Salem.. tornai il giorno dopo e mi mostrò una lista con tutti i timbri in regola.. fu così che entrai nell’ospedale più triste del mondo con un sorriso sulla faccia.
Il dottor Joza affondò una mano nella mia spalla. “Ce l’abbiamo fatta!” lo investii “Salem è in lista” “Salem è morto”. Chiusi gli occhi e lo vidi. Giovane, adulto, vecchio, come non sarebbe stato mai, e poi di nuovo bambino: con quel buco nello stomaco che non avevo fatto in tempo a riempire […]
(Massimo Gramellini – Fai bei sogni, libro da leggere per queste e per tante – altre, molto altre, – righe)