Le guardava, le bici, le amava.
In questa fredda città del nord c’era tutto per convincerla ad andarci a vivere. C’era l’acqua, il romanticismo, la mente aperta. C’erano le bici, poi, ce n’erano tante. Ci andavano i giovani il sabato sera, con la lattina di birra in mano, e l’amico dietro coi piedi sospesi. Donne in carriera, tacchi e gonna, costrette a pedalare a cosce strettissime, ma con il cellulare in mano telefonavano senza fermarsi. Gli anziani, ancora, gli anziani pedalavano stanchi e raffinati, ogni metro uno sforzo, ogni sforzo una vita. Arrivavano a frotte al teatro dell’opera, vestiti eleganti, donne e uomini sopra la settantina. Come? Ma in bici, è ovvio. Colleghi in giacca e cravatta, mamme con bimbi piccoli e le sporte della spesa, fidanzatini mano nella mano: tutti in bici.
Lei le amava, le bici.
Ci aveva fatto una vacanza da ragazzina, ancora se la ricordava, porcapalettachemazzo, le salite della Corsica e la bici che pesava decine di chili, a causa dei pezzi della tenda da montare la sera per raggiungere l’agognato e meritato riposo.
Le amava le bici, e amava girare.
Amava quei viaggi senza valigie che sono i libri. E anche stavolta, nella città del nord, dove il freddo la costringeva a passare di caffè in caffè per una tazza di tè… sì, in quei caffè il vero italiano non chiede gli espressi, preferisce bevande da anglosassoni che vedersi vituperare il suo amato ristretto. Beh, tra un baretto di quartiere e l’ennesimo Starbucks, lei leggeva, divorava, mordeva pagine di romanzi. Sbagliò, in quella vacanza. Si portò dietro un libro da ‘normali’, lei che normale non era e non è.
Passavano gocce di pioggia e biciclette indomite.
Scorreva le pagine dell’ultimo libro di Massimo Gramellini, “Fa bei sogni”, glielo aveva consigliato persino il Profeta. E poi glielo aveva regalato la goccia di sangue che si era infilata nelle sue vene. Però, lei non era normale, non poteva averne capito il senso della lettura. In quelle pagine c’erano dolori e silenzi, non era roba da relegare ad un personaggio lontano. Sarebbe stato un bel romanzo, si disse, se fosse stata normale. Prese appunti per il futuro: leggi ciò che la vita ti fa leggere; non leggere ciò che la vita t’ha fatto vivere.
Le ruote si inumidivano in eterne pozzanghere, ma non sembravano accorgersene.
Cosa avrebbe dato per muoversi sempre in bici, nella sua città? Ma se il cielo che la accompagnava sin dalla nascita conosceva meno nubi del luogo vichingo in cui si trovava ora, beh, era notizia conosciuta che la sua Urbe era stata fondata su sette colli. In bici per Roma, sì, era un lusso primaverile ed estivo che si concedeva, la sera tardi o la domenica. La sua sfida personale era conquistare le vette di quei celebri clivi, e arrivarci dalla periferia era un motivo d’orgoglio. Ma la quotidianità, no. Non avrebbe saputo gestirla su due ruote, due gambe e due polmoni.
Ognuno sulla sua bicicletta. Li vedeva passare. Poi si lasciò convincere dalla pioggia e dal freddo del nord.
Anna Eva Laertici
io mi tengo il titolo e te lo dono. E me lo dono. E lo lascio galleggiare lì, comunque… Fa bei sogni e pedala, per carità, siempre..
Simone
Appena ti vedo t’abbraccio, editò.
Grazie.
AEL