E’ dentro di te

Stamattina gli è cambiata la vita. L’ho letto nei suoi occhi e nelle parole che non conosceva e con cui di colpo si trova a familiarizzare.

Stamattina l’ho abbracciato.

Stamattina ho sentito il dolore dentro le mie vene. E’ incredibile la simpatia che ho per certe tragedie. “Simpatia”, ho studiato il greco, ogni tanto me ne ricordo (e me ne vanto).

Stamattina l’ho rifatto tutto quel percorso, tra la villa dove pattinavo e casa. Le frasi, lo sguardo di mia zia, la notte dormita accanto a mia cugina Mizi, poi l’arrivo di papà.

Stamattina l’ho abbracciato.

Stamattina non c’erano parole da dire, e proprio l’assenza di parole sarà il suo dolore più grande. Sarà quando si volterà indietro e si chiederà perché non è lì. Sarà, tra anni, quando i suoi ricordi inevitabilmente si affievoliranno. Quando in una stazione della metro gli sembrerà d’aver sentito quella risata, o quella parola desueta che diceva solo lei. Si girerà a cercare nei visi dei presenti il volto che ha amato. Troverà occhi sconosciuti, ignoti, lontani. L’illusione lo solleverà, la disillusione lo prenderà a calci.

Ma stamattina inizierà una nuova vita, quella in cui vedrà il futuro come il proseguimento del passato. Cercherà di dare un nome e un volto agli eventi e alle nuove persone che entreranno nella sua vita. E racconterà loro quello che hanno perso, nel non conoscerla.

Stamattina l’ho abbracciato e lo farei ancora.

Stamattina avevo due giacche addosso, una l’ho tolta. Non sono andata da lui in nome di niente. Ho cercato l’incontro con il suo incredulo dolore solo perché volevo trasmettergli la mia presenza. Il mio esempio. Eccomi, sono qui. Si sopravvive.
(magari sono strana e problematica, però si sopravvive)

Stamattina la giacca che ho tolto ce l’ho di nuovo indosso. Non dovrei mai toglierla, dice la deontologia. Fanculo, dico io alla deontologia.

Stamattina mi sono chiesta perché un dolore che ho già dovuto sopportare io lo debbano vivere anche gli altri. Mi sono chiesta se c’è un qualche dio assetato di sacrifici. E mi ha offeso, pensarlo. Perché non gli è bastato il mio. Perché ha dovuto fare anche a lui, anche ad altri, questa ferita.

Stamattina l’ho abbracciato.

Stamattina e le altre mattine, io cammino per la strada facendo finta d’essere normale. Come gli altri. Mi sarebbe bastato pure un giorno. Far finta che le mie radici siano sane, mostrare fogli e frutta, senza far vedere il tronco spaccato.

Stamattina, e dalle prossime, cercherà solidarietà nei libri, nei romanzi, nelle vite altrui. E scoprirà magari che siamo in tanti come lui, ognuno a modo suo. E che siamo in grado di non farlo sentire mai solo.

Stamattina e le mattine che verranno, ma anche le sere, leggerà “Caos Calmo”, “Fa’ bei sogni”, sentirà “Il giorno di dolore che uno ha” di Ligabue. Lo farà per farsi male. Perché il dolore che si procurerà gli ricorderà che è vivo.

Stamattina l’ho abbracciato, era fragile.
E forte.

 

 

Anna Eva Laertici

 

Post con dedica.
A M.,
perché non deve dimenticarsi mai che chi ami ti sopravvive. E’ dentro di te.
C.

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