Mi hanno racconato la storia di un ragazzo, uno straniero, uno col nome da colonizzato tipo Antonio. Antonio vive e fa il professore in un paese caraibico. Qualche anno fa incontra Andrea, lì per un viaggio. Diventano amici, Antonio fa da guida e oste ad Andrea per tutta la vacanza. Quando quest’ultimo torn in Italia continuano a sentirsi. Andrea, come può – ovvero ogni volta che qualcuno che conosce programma un volo verso quel paese -, rifornisce Antonio, insegnante più indigente di uno nostrano, con l’abc del supermarket… mutande, magliette, scarpe, nascoste tra altre mutande, altre magliette e altre scarpe di valigie in viaggio.
L’amiciza prosegue. Andrea torna nel paese caraibico un paio di volte. Poi decide di invitare a casa sua, in Italia, Antonio. Gli paga anche il biglietto, quasi 800 euro.
Roba di ieri. Antonio per partire ha bisogno di un visto turistico, ma il suo paese glielo nega perché teme che Antonio, una volta partito, non torni più – è un potenziale migrante, il diritto elementare, quasi ovvio e scemo, di un viaggio a casa di un amico, va negato. Antonio deve restare fermo, professore, povero, caraibico, oste ma non ospite.
Nella mia città, intanto, l’amministratore principale – sindaco – celebra su manifesto, col suo vice, la chiusura di un campo rom e nega, con ordinanza, il panino in strada.
Cose che succedono.
Simone, mi hai commosso e incuriosito.
Complimenti.
AEL
Non dimentichiamo mai la fortuna di poterci muovere e trasferire in Europa senza dover mostrare e dimostrare niente. Una fortuna di cui una nuova generazione di emigranti approfitta sempre di più. Abbiamo tutti almeno un parente o un amico stretto andato (o rimasto) fuori in cerca di migliore fortuna – o di un paese appena più decente.
Devo ammettere che un mio incubo ricorrente è di essere bloccato alla frontiera italiana – in uscita però.
E adesso anche questo, di tornare a casa e di essere multato perché mi mangio un panino colla porchetta in piazza (vale anche per un pezzo di pizza?)
Tommaso