Con l’augurio che vi vada tutto in imodium

Hanno rubato a casa mia.

Ora, già di per sé la notizia non è lieta.

Lo spavento nel temere vi fosse qualcuno dentro, la comprensione che la porta era stata forzata ma anche richiusa, e quindi dover aspettare ore al freddo in attesa di fabbri apriporte e carabinieri acchiappaladri, il caos primigenio nella stanza con cassetti divelti da armadio e comodini, la dolorosissima (c’è poco da scherzare) sensazione d’essere stata “violata”, pensare che gli indumenti fossero stati toccati da chissà chi, l’ira funesta che in confronto Achille me spiccia casa (e stavolta m’avrebbe fatto comodo, in effetti) nel constatare che tutto sto casino ha prodotto centinaia di euro di danni per riparare la porta, centinaia di euro che sotto Natale chiunque di noi vorrebbe devolvere in serrature nuove, ed infine la tristezza del furto vero e proprio: pochi oggetti mancanti, di quasi nessun valore economico, ma che conservavano un’aurea di fascino grazie ai ricordi affettuosi che rappresentavano…

Ecco, tutto questo non mi è bastato.

Ora è partito il dibattito, la “domenica sportiva” dei condomini, di parenti e conoscenti.

Due i grandi temi su cui filosofeggiare:

  1. “ma davvero non avevi il cilindro europeo con antichoc e defender?”, da proclamarsi con faccia tra lo stupore e il rimprovero. No. Non avevo strane serrature; di professione non sono fabbro, né ladro, né poliziotto. Io sono una banale impiegata che la sera infila la sua chiave nella sua toppa della sua serratura della sua porta blindata. Basta. Non ho studiato corsi di approfondimento in “devi sta’ zincata in casa” o mi sono laureata in “non esci manco sotto tortura, figuramose se te faccio entrà”.
  2. “ma ora metterai anche l’antifurto elettrico, il rilevatore radar di presenze all’interno delle mura, un segnalatore acustico a trombetta, le sbarre Rebibbia’s way alle finestre, il cancelletto rinforzato, il filo spinato elettrificato sullo zerbino?”
    No. Non lo farò.
    Tra la paralisi del terrore e l’incoscienza della libertà, sceglierò sempre quest’ultima.

E’ vero, ora so che vuol dire passare una serata a rimettere a posto cassetti ed ante, ad igienizzare tutto con amuchina e ammoniaca, a lavare i vestiti (so’ due giorni che non faccio altro che lavatrici), a fare la conta – con il groppo in gola – degli oggetti che mancano, ad augurare molto poco cristianamente attacchi di diarrea e colite a chi ha violato l’intimità del mio domicilio… ma è anche vero che non smetto d’essere fatta così:
non c’è niente che mi faccia più paura del vivere con la paura.

 

Anna Eva Laertici

 

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