Giacomo Pallotta, presidente associazione sportiva Roma, oltreoceano alcune ore fa: “In Italia le squadre di calcio si acquistano un po’ per business e un po’ per ego. Noi non lo abbiamo fatto per l’ego … Prima che noi prendessimo la Roma non c’era uso dei social media. Non c’era alcun sistema di gestione dei tifosi.. Stiamo facendo della Roma un brand, questo non è un hobby e va gestito secondo le regole degli affari.. Realizzeremo un database dei tifosi, che potranno ordinare snack senza lasciare la poltrona”.
Marco Evangelisti, giornalista che ci condivido: “Quel che ci preme ricordare agli zii d’America e ai loro rappresentanti in Italia, è che ai fan tutto sommato di ricevere messaggi esclusivi di 140 battute interessa relativamente. Rispetto dei tifosi dalle nostre parti significa altro. Significa per esempio avere uno spazio da visitare nei paraggi del campo di allenamento, magari completato con un negozio di ricordi, un bar dove sedersi per uno spuntino invece di attendere la visione fugace di un calciatore tra un cancello chiuso e una recinzione conficcata nel fango. Significa sapere che dopo le partite i protagonisti rilasceranno dichiarazioni da leggere, da ascoltare e di cui discutere. Significa avere dirigenti in grado di comprendere lo stato d’animo del pubblico dopo la notte bastarda del derby. Che si affrettino a mandare segnali di speranza. Che non aspettino tre settimane prima di scegliere un allenatorre, che non stiano un mese senza lasciar intravvedere uno straccio di rinforzo. Il resto sono parole scritte su un monitor. Si cancellano con un tasto.