Ha piovuto ininterrottamente i primi sette mesi dell’anno: motorino in garage, la racchetta nell’armadio. Ho imparato però nuove parolacce.
Andare a casa sua, dopo troppo poco tempo, e richiedermi perché la vita ha deciso di bastonare questo ragazzo.
Le larghe intese, il qualunquismo di lusso a 5 stelle, il Paese immobile che guarda il baratro sotto di sé e le alzate di spalle del popolo che se ne frega, di quello che è volgare ed arrogante. Com’è scomodo stare nelle minoranze di chi crede ancora e spera.
Il 26 maggio, non scrivo il perché, tanto lo sapete, fa troppo male. Dopo i Celti, i Visigoti e i Lanzichenecchi, ci mancava l’invasione dei burini: popoli che con Roma non hanno niente da spartire e la sanno solo odiare.
La lontananza di un ramo d’Argento; capire che non gli apparteniamo più, un alito di vento che soffiava, e solo l’eco in risposta. Siamo ormai fronde distanti.
Giù il cappello davanti all’immenso Mandela (e alle nostre Franca Rame e Margherita Hack). Si spengono esistenze, si stagliano maestri di vita.
Imparare a dare le cattive notizie a lavoro. Dicono sia parte del bagaglio della mia professione. Forse ho sbagliato parole, o forse impiego, forse il periodo. Forse ho sbagliato tutto.
Lampedusa, la tragedia nel mediterraneo pieno di occhi che affondano, grida che tacciono, flutti che coprono cadaveri e la nostra vergogna.
Stamina e le bufale animaliste. Gli stregoni, gli sciamani e i vannoni-marchi di oggi. La scienza sotto i piedi, la cultura che non serve, e chi soffre diventa un business da spremere.
E’ stato l’anno in cui ho scritto di meno. Lontana dal Profeta Blasfemo e non solo. Mi è servito a capire che posso star senza caffè e sigarette, ma mai senza la penna o il mac. Almeno un vizio devo conservarlo gelosamente.
Anna Eva Laertici