premessa: c’e’ un personaggio di Sorrentino, piuttosto interessante, che ci racconta come le uniche cose che gli piacciono sono le sfumature. Le sfumature, gia’. Quelle che forse non apprezzano sino in fondo i pubblici – cinematografici e televisivi – del regista e scrittore napoletano.
post-premessa, discorso sul metodo: con la telecamera, le luci, la fotografia, l’autocad, la parola, il verso, il rutto, le mani in tasca. Al seminario o in confessione, dopo la fabbrica o nell’ufficio progettazioni. L’univa cosa che conta e’ la narrazione. Sono le storie
svolgimento: La Grande Bellezza, leggo nei commenti, o e’ tendenzialmente magnifico e onestamente non ci capite un cazzo voi critichelli improvvisati da mezzo euro, cafoni col gusto corrotto da De Sica e Stallone, anche se, sciapetti dell’estetica che non siete altro, incapaci di vedere e toccare la grandezza, siete in qualche modo giustificabili, la Grande Bellezza non e’ un film per tutti
Di rimando, i disgustati rei e confessi si compiacciono nell’etichettare il film come una sublime, lenta, allucinata rottura di coglioni.
Il film ho provato a vederlo tre volte, non andando mai oltre i 45-50 minuti. Forse mi ci vorrebbe una visione pomeridiana o un matinée. La sera a me manca lucidita’ e alla pellicola in questione, forse, un po’ di ossigeno. Adorabile Jep Gambardella, avrei puntato per quaranta minuti la telecamera su di lui raccogliendo ogni sospiro. Un documentario sul disincanto illuminato. E basta
conclusione: “non sopporto niente e nessuno. Nemmeno me stesso. Soprattutto me stesso. Solo una cosa sopporto, le sfumature” (T. P.)