dal libro di Cristiano Cavina, Un’ultima stagione da esordienti (Marcos y Marcos)
“Non vedo l’ora di diventare vecchio.
Giuro.
Non vedo l’ora di essere un vecchio uomo rinsecchito con la pelle macchiata, che non ha più niente da fare, lontano mille chilometri da tutti i casini, gli intrallazzi e gli impicci della vita.
Non vedo l’ora di non dover cercare più niente.
A quel punto potrò sedermi sulla panchina che hanno sistemato nel cortile del convento, appoggiare le mani al bastone da passeggio e metterci il mento sopra.
Non vedo l’ora.
Magari mi verranno in mente tutti i fallimenti, le bugie, le cose mirabili che tutti si aspettavano dovessi realizzare e non ho mai raggiunto, come l’ottimo all’esame di terza media.
Mi verrà in mente la vigliaccheria di non essermi mai presentato a un esame quando facevo l’università e tutte le schifezze che ho combinato prima di inciampare in una macchina da scrivere.
Mi verranno in mente un sacco di cose.
La malinconia simulata con cui lasciavo le ragazze e la rabbia artificiale che mi prendeva quando erano loro a sbarazzarsi di me.
Mi verranno in mente un sacco di porcherie, però sarò vecchio, finalmente, e potrò lasciar scorrere tutto con un bel sospiro di clemenza, e guardando i bambini giocare nel campetto di ghiaia penserò a quando ero alto come loro, un bruscolo d’uomo al debutto sulla crosta terrestre.
Sì, avrò un gran deposito di schifezze, dentro, ma non avrò perso di vista il paracadutista che ero, quando scorrazzavo per il mondo inseguendo una palla.
Penserò ai miei amici, quelli che nel frattempo avrò perso per strada e quelli che ancora non sarò riuscito a togliermi di dosso.
Rivedrò mia madre piangere, assieme a tutti gli altri nostri parenti assiepati dietro la porta, che ci guardano sbigottiti ed euforici, perché qualcosa di decente alla fine si poteva cavare anche da noi.
E poi, come una musica, arriveranno tutti i miei compagni di squadra…
Ecco a cosa penserò quando sarò vecchio.
E allora, seduto sotto i tralci di quella vite secolare, attirerò l’attenzione di un bambino solitario.
Giurò che smetterò di fumare, per essere sicuro di arrivarci.
Non vedo l’ora.
Lui mi si siederà accanto e io, finalmente vecchio, gli racconterò di quel fantastico campionato, e di come un pallone possa trasformare i più deboli nella Rocca di Gibiliterra.
Gli parlerò del Dio del Calcio e della magia che dispensa a chi ha abbastanza coraggio per credergli, inseguendolo in campi polverosi negli angoli dimenticati della terra, in un’ultima stagione da esordienti”.