Ciao nonno,
stamattina ti pensavo. Mi succede ogni volta che trovo un centesimo per terra, sono stupidamente convinta che sia il tuo modo di farmi pensare a te, e capita sempre quando ho bisogno di sentirmi coccolata, come quando ero piccola e mi dicevi che ero sempre il tuo primo amore.
Non ci sei da più di 13 anni, e il mondo sembra cambiato inesorabilmente.
Ti ricordi di Berlusconi e di quanto ti faceva incazzare? Ho imparato da te l’espressione “parlare con la televisione”, lo facevi sempre davanti al tg4. Io ero divertita e mi chiedevo perché ti sottoponevi a quel supplizio, ma oggi lo faccio anch’io e forse ora ti capisco. Ah, forse ti farà piacere sapere che Berlusconi non è più così importante, e il povero Fede è stato sfanculato senza troppi complimenti.
In compenso, abbiamo altri personaggi che ti farebbero parlare con la televisione, ma il cambiamento più grande è che siamo tutti un po’ meno umani.
Forse è quella che chiamano crisi ad averci reso diffidenti, tristi, sfiduciati, anche più cattivi. A farci vedere nell’altro sempre un nemico pronto a toglierci quel poco che abbiamo, a farci parlare male dei politici ma trattare male solo i più deboli.
Sai nonno, ripensavo al tuo giornale, a quello che tutte le mattine andavi a comprare e che si impregnava del tuo profumo, mischiato alla carta e al petrolio della stampa, e che quando tornavi mi lanciavi dalla porta.
Anche i giornali sono cambiati, o forse è cambiato il mio modo di leggerli, chissà. Eppure tu lo sai quanto amavo l’idea di diventare giornalista, e proprio tu sei andato quella mattina all’Ordine dei giornalisti per comprare fiero una copia dell’Agenda, dove di lì a poco, nell’elenco pubblicisti, sarebbe comparso anche il mio nome.
Ora penso che è un mestiere che non riuscirei a fare; con lo studio, la curiosità e l’esperienza lavorativa, ho imparato che la molte notizie sono false, costruite ad arte o, nella migliore delle ipotesi, inesatte e scritte senza alcuna verifica. Ma creano un mondo virtuale in cui le persone vengono trascinate da una sponda all’altra tra indignazione e paura, e, come diceva Manzoni (non sono così secchiona, è solo che l’ha citato l’altra sera un giornalista in un programma che seguo), “quando gli animi son preoccupati, il sentire faceva l’effetto del vedere”. Capito, nonno? Un romanzo pubblicato nel 1827, che racconta una vicenda del 1630, descrive, in una frase, come stiamo vivendo nel 2015.
Giocano sulla nostra pelle, nonno. Giocano a inventare un mondo dove le persone, anziché aiutarsi su una barca che rischia di affondare, si agitano per buttare giù quanta più gente possibile, mentre mettendosi insieme ai remi ci si salverebbe tutti. Giocano a distogliere l’attenzione. Giocano con i nostri sentimenti più profondi: generano timore, diffidenza, paura, laddove basterebbe la semplice pietà, la pietas latina (invece questa è mia, il classico non si frequenta mai invano…), per vedere e affrontare e guarire.
Sono sfiduciata, nonno. Ripenso a te, a quelli della tua generazione, che hanno affrontato una guerra devastante, per cose e persone, una dittatura opprimente, hanno pianto padri, madri, fratelli, figli, e sono stati capaci di aiutarsi e, seppur sfortunati, di aiutare chi nella sfortuna c’era come e più di voi.
Qui invece c’è gente che si riempie la bocca di frasi fatte e si preoccupa solo del proprio ombelico, ognuno il suo, e gira la testa anche davanti a un bambino che ha solo colori diversi; ma anche io e Paolo lo eravamo tanto, vero?
Ti vedo sorridere, nonno, e lo fai in ogni immagine che mi restituiscono i ricordi. Forse è solo il tuo ottimismo, quello che cerco in questo centesimo, che mi rigiro tra le mani come un talismano.