“Antonio Moroni, una storia vera”

pozzetto

Non sono Paul Simon ma canticchio. E non sono nemmeno un narratore, ma ci provo. Quello che racconto è l’efferato delitto consumato il giorno 3 ultimo scorso dal signor Antonio Moroni, in arte Antimo, antropologo irrequieto per formazione, profetucolo senza patria e patrimonio, scopatore seriale ultimamente un po’ arroccato sulle sue, adattato barista precario in cerca di insurrezione.

E in cerca, pure, di quella classica occasione che riscatta l’esistenza e scalda i pantaloni, che riabilita dalla mai troppo definita crisi, di denaro e di valori, che masturba senza pausa l’esistenza dei miei amatissimi contemporanei. L’occasione cerca il nostro Antimo. O la buona azione dell’uomo della strada, possibilmente con foto. A pagina 3, con due righe di titolo. E in foto il Moroni devo dire che effettivamente c’è finito. Una foto per il foro, praticato in piena fronte alla povera zia Sina, fiore (e fioretto) di Puglia, umida come la notte, morta sfinita a sangue lento. Un delitto d’ira, d’impeto dicono, eppure a sangue freddo, freddissimo.

Congelato. Scusate se mi atteggio a scrittore e spippetto come un sigaro questo bastoncino di lecca lecca. Ma il delitto Moroni merita raccoglimento. E io mi raccolgo. E vi ragguaglio. Capelli lunghi, lunghissimi, occhiali spossati e occhiaie profonde, il Moroni un mese fa giusto giusto si è trasferito da zia Sina.

Senza un soldo, ma questo ve lo aspettavate, e con la più prevedibile pila di magliette risicate stipate in valigia, con l’aggiunta di due libri in prestito e uno trafugato, un paio di jeans d’occasione, gli spicci accantonati per cappuccini in quantità di uno e cornetti, se piccoli o da Mario il pasticcere all’angolo, in numero di due o tre, una chiamata in attesa (quella della fidanzata storica Mara, che lo aveva appena finito di mettere alla porta dello striminzito monolocale condiviso per la terza volta in sei mesi), in tasca la ricevuta della scommessina Snai per il prossimo turno di serie B Bari-Piacenza 1-x e Foggia-Pescara più di due gol e mezzo, il vento fresco della sera a baciargli il viso. Che pure quando non c’è, questo vento, appoggia bene in ogni racconto che si rispetti. Una vita al limite, una vita all’angolo.

Una vita, diffusa, direi, a guardarci bene tutti. Eccoci allora che, il giorno 3 u.s., due sere fa effettivamente, senza alterco o discussione, una mano sulla pancia un po’ sblusata e una ad afferrarsi il mento, Antonio ha preso la via dell’angolo cottura. Accanto al lavandino c’è un pozzetto congelatore. Antonio lo ha aperto, ha sfilato via una platessa atlantica di grammi 142, l’ha impugnata con buona sicurezza prendendola da quello che restava della coda, ha raggiunto zia Sina in cameretta e le ha frantumato l’osso frontale a colpi di ramazza ittica. La platessa poi se l’è infarinata e spadellata. S’è girato e fumato sigarette due e poi mi ha chiamato. E io sono venuti da voi. E ora sono pronto a firmare breve deposizione scritta di quanto vi ho appena riportato.

L’unica spiegazione che mi ha fornito il Moroni per giustificare l’insano gesto è stata: sa di poco. Se si stesse riferendo alla platessa o ad altro non sono in grado di dirlo. Io mi attengo ai fatti.

In fede, Antonio Moroni

Sico

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