
L’inglese ci chiama «gli unsuited», quelli a cui calza male. La vita o il vestito, questa è interpretazione. Disadattati con leggerezza, tasche piene di atti mancati. Siamo maggioranza, arrendersi prego.
Non abbiamo i ritmi giusti, sbagliamo l’entrata, i tempi della battuta. Leggere una mappa ci toglie il fiato, cambiare una lampadina il sonno. Figurati la vita, a cambiarla.
Guerrieri corazzati di cotone, occhi gonfi ma non rassegnati, relazioni sociali un po’ in affanno. Stanchissimi. Perennemente in punta di piedi, avanziamo schivando.
Inesorabili. Chiamare ore pasti, no perditempo. Dopo lo sfratto dal bilocale a San Lorenzo, settecento euro mele escluse, io, che sono Ugo, Mara, Marco e Sante, quattro tipi di età, e di arte, decisamente varia, abbiamo optato per il parco. Il parchetto merda, come affettuosamente lo conosciamo tutti nel quartiere. In tre giorni abbiamo innalzato l’«abusiva», baracchetta di lamiera e avanzi di legno pregiato. Pila di libri, angolo cottura, locandine di film, cappelli colorati, una cassa assortita di spiriti.
E un divano antico, pure. C’è il buchetto sul tetto per il cielo che, da qui, non si vede. È perfetta. Caldissima d’estate e freddissima d’inverno. Ma perfetta.
Il piano fallito è nato qui.
Sante è orfano di tutto tranne che delle losche scarpe da ginnastica con cui ogni mattina, uno via l’altro, infila di corsa i giri del circuito benessere attorno al parchetto. L’ultimo a sfiziarsi con lui è stato una specie di padre acquisito, marito di terzo grado della mamma defunta. Gli ha fottuto l’eredità: ventimila, tondi tondi. Sante ci voleva rilevare la masseria di un cugino molisano. Puff. Masseria sparita.
Mara è strafatta di superalcolici che tracanna dalle boccette mignon, quelle da collezione. È una donna, una mamma, di una dolcezza imbarazzante. Martina, la figlia, vive con i nonni. Mara, che come tutti noi improvvisa, sia nei lavoretti che nella gestione del chilo, quell’amicone quotidiano a cui diamo il nome di dolore, ha un sogno solo. Una festa per Martina. Sarebbe la prima in nove anni. Servono i soldi.
Marco aspetta che passi. Sulla panchina sbecca del parchetto, la faccia al vento. Ha perso un buon lavoro d’ufficio per un paio di impicci di contabilità, diciamo. Colpa sua. Eretico, mazziniano, spaccia poesiole e caldarroste, con una specie di chiosco, abusivo pure quello, piazzato accanto alla fontanella. Tre euro al cartoccio. C’è anche una quartina allegata, se gradite. Vive perennemente con l’ansia di farvi del male. È per questo che se può vi schiva, tutti. Noi siamo la sua eccezione felice.
E poi ci sarei io, Ugo Bassi, quarantatré anni, padre, marito e, mi piacerebbe aggiungere, leggero come una bolla di sapone. Io ho fatto un passo indietro. O di lato se preferite. Non m’entrava più il vestito. Non scendeva. Io li amo da matti,
Valeria, Ludo e Mimmetto. Ma avevo bisogno di un goccio d’aria in più, diciamo. E siccome in genere sono quello che resta col cerino in mano, mi sono accollato tutte le responsabilità possibili.
E ho tolto il disturbo. Ho un vezzo, lo confesso. Il testamento anticipato. L’ho già pronto e lo conservo nella tasca del cappotto. Lascio tutto a loro, debiti, amore e impacci vari a loro tre, alla mia famiglia.
Per vivere mi sono reinventato tuttofare. Nelle ultime settimane mi sono anche autoproclamato custode del parco. Guadagno poco. Ma ai miei figli piace e sanno dove trovarmi. A mia moglie un po’ meno, effettivamente. Mentre aggiusto penso. Chessò, riparo un’altalena dell’area giochi e intanto elaboro. Il piano condiviso con Mara, Sante e Marco è nato così.
Versione 1, il grande botto. Esplosivo artigianale nel capanno della bocciofila qui accanto, la ludoteca degli adorabili vecchi del quartiere. Boom. Di notte. Niente vittime. Solo un po’ di rumore. Una protesta, finalmente fragorosa, firmata quattro stronzi. Piano scartato all’unanimità, praticamente da subito.
Versione 2, i soliti ignoti. Colpo gobbo, sempre alla bocciofila. Quei temerari dei nostri anziani non sono solo maestri dell’accosto no, ma dell’accumulo pure.
Hanno messo su una sorta di polisportiva della terza età. Tra sponsorizzazioni estorte ai negozianti di zona, autotassazione delle pensioni minime e qualche cresta sull’acquisto dei pannoloni, nel tempo hanno totalizzato un bel fondo cassa.
Pronti per la tournée internazionale. Tornei e hotel 3 stelle S, tutto compreso. Prima tappa Lubiana, in Slovenia, bocce e scopone. Bello. Perfetto. Per noi. Cassa piena. Almeno 10 mila euro. Tanto, per cominciare. Stavolta tutti d’accordo, un anziano abbastanza ricco e abbastanza furbo, se derubato, fa un po’ meno impressione. Brindiamo al piano coi mignon di Mara. Siamo decisi come mai, affamati, spietati.
La notte non ci porta consiglio ma sogni. Feste di compleanno, masserie, regalini con tante scuse, un chiosco vero per le castagne.
Aspettiamo quarantotto ore e poi decidiamo di agire, sempre di notte. Le chiavi della bocciofila sono già in tasca, averle è stato un gioco da ragazzi. Le ha fottute Sante la sera prima al maresciallo, autorità laica del parco e responsabile ad interim
pluriennale della bocciofila. Povero, splendido maresciallo.
Ottantaquattro anni di catarri e consapevolezze, un mastodonte esile solo di prostata, vedovo e amicone, pensionato illustre della Benemerita, qualche leggerissimo problema di vista e udito.
Sante, di cui il maresciallo conosce bene il patrigno bastardo per una storia di molestie messa a tacere piuttosto in fretta, con la banale scusa di una chiacchiera ha avvicinato l’ex milite e lo ha alleggerito, come si dice in gergo.
La notte bussa. Il fondo cassa ci aspetta. Io entro per primo, per quella sorta di sindrome del cerino in mano, cui accennavo prima. Sante trema come un lenzuolo steso al vento, Marco ha le vene del collo tese e gonfie. Mara ride e inciampa. Nel silenzio della pista da bocce all’improvviso una luce.
Lo riconosco subito, è Erik, 30 anni e una coperta, italocingalese, penso l’unico in città, sfrattato anche da sé stesso.
Abusivo tra gli abusivi. Rifugiato nel castello dei nostri amati, fottutissimi, anziani. Marco bestemmia e lo vuole picchiare, Sante si infila tutte e due le mani nei capelli, Mara alza un Lucano da 5 ml e brinda. Eccoci penso, gli unsuited, non calza, è inutile insistere. Abbraccio Erik, c’ha salvato lui, almeno stavolta.
Simone
credit foto: workingroom.it
Yepa! 🙂